venerdì 27 settembre 2013

Mary and Max

Mary and Max



Un film d'animazione di Adam Elliot
Produzione: Australia 2009
Voci dei personaggi: Philipp Seymour Hoffman (Max), Toni Collette (Mary), Barry Humphries (Narratore), Eric Bana (Damien)

Inedito in Italia, Mary and Max è un piccolo gioiello dell'animazione stop motion, con personaggi e scenografie realizzati in plastilina, una bella colonna sonora il tutto prodotto nella lontana Australia. La seguente e dettagliata lettura vuole essere un invito alla visione e all'approfondimento.
La vicenda che si racconta, ispirata ad una storia vera, è quella di un incontro, prima a distanza e poi sempre più ravvicinato, tra due anime sole che casualmente si ritrovano ad avviare una relazione epistolare. Mary è una adolescente ipersensibile, rinchiusa nella propria cameretta di un anonimo paesino australiano; Max un maturo signore, chiuso in un anonimo appartamento di New York, affetto dalla sindrome di Asperger. Questo è l'esile tessuto narrativo su cui si dipana la vicenda che prende l'avvio nel 1976 conducendoci nel cuore di un piccolo paesino australiano.
Una scritta ci introduce dentro questa "Città pulita", che è in realtà luogo di oggetti e non di esseri umani (scarpe su tralicci, palloni su tetti, barbecue abbandonati e una emblematica creatura spaventata, aggrappata alla cassetta della posta, quasi che temesse l'arrivo di qualche lettera). Questa iniziale galleria d'arte in plastilina offre lo squarcio su un luogo di solitudine, di chiusura e di vita che sembra essere passata; è il luogo di Mary, fotografato con una luminosità che stride con la malinconia dell'insieme (con una dominanza del colore marrone). 





Una voce fuori campo, quella di un narratore onnisciente, ci presenta i personaggi che animano questo paesaggio e ci conduce lungo i fili che compongono la trama.
Mary è incastonata tra le sbarre di una finestra come il suo vicino, vive una solitudine carica di sogni e di cioccolato; 



suo padre guarda annoiato ed alienato "in macchina" (nel corso della storia scopriremo che egli ama giocare con gli uccelli impagliati, passione che alluderà alla sua morta sessualità con una moglie ormai preda dell'alcool; e di nuovo l'allusione sessuale torna con la foto del padre che infila un dito nell'ano dell'uccello e il successivo sogno erotico della figlia la cui sessualità invece è ancora di là dall'esprimersi).



La figlia ha uno spirito creativo, una vena pulsante e vitale che è però soffocata e delimitata. Il suo mondo si presenta chiuso tra le geometrie di una finestra che è il limite alle sue aspirazioni. Altri personaggi sono chiusi dentro luoghi che nella loro fredda geometria ci dicono di un mondo fermo e stagnante (il vicino di casa dietro la finestra e i suoi cani nelle cuccie, Sonny e Cher che alludono alle due cucce umane dentro cui vivono Mary e Max). Ciò che esce da questi spazi è inconsistente; così la pallina che il vicino lancia fuori dalla finestra è legata con un filo e torna inesorabilmente indietro; ogni personaggio, dunque, è chiuso nel proprio piccolo, egoistico e contratto mondo (lo sforzo finale di Mary sarà proprio quello di uscire da questo immobilismo che condanna l'uomo alla solitudine e volerà verso Max come ultimo estremo gesto di apertura al mondo).




Mary, che ancora deve comprendere il mondo che la circonda (le domande che si pone non hanno risposta e sono frutto di malcomprese affermazioni di adulti: perchè il nonno ha bevuto ammonite, perchè lei è frutto di un incidente, perchè la mamma prende in prestito merce al supermercato...) è condotta dalla madre su un carrello, a confermare, simbolicamente, la sua mancanza di autonomia e autostima.


A corollario di tutto questo ci sono i Noblets alla tv, una serie che ricorda i Muppets, (ma anche i Peanuts di Schultz con le figure di Lucy Van Pelt psicologa e gli amici di penna) e di cui Mary è particolarmente appassionata. Proprio i Noblets sono il filo che ci conduce dall'altra parte dell'Oceano, nella grigia e verticale New York (all'orizzontalità della cittadina australiana e alla sua colorata solarità, risponde la New York dei grattacieli, umida e notturna, fotografata con un bianco e nero che non può non riportarci alle atmosfere care al cinema noir americano).. Alla calma piatta australiana risponde la violenza americana, con la mitragliata verso le parole di benvenuto di fronte alla Statua della Libertà.


Di fronte ai Noblets, nel suo appartamento ai piani alti di un grattacielo, si trova Max Horowitz, 44 anni, ebreo, ossessionato dalla simmetria che vede nella serie tv la riproposizione di una struttura sociale organizzata (sole-poesia-Mary; grigio notturno-matematica-Max). Max è come il pesce (Enri VIII) del suo aquario, chiuso in una boccia di vetro e tremendamente solo.


Le due città, così lontane iconograficamente e geograficamente, ben si prestano ad universalizzare il motivo della solitudine (in questo senso per entrambi i personaggi i pupazzi dei Noblets, simbolicamente, sostituiscono gli amici in carne ed ossa che sono esclusi dal loro orizzonte e non è un caso che, nel finale, quando i due finalmente si incontrano, i pupazzi scompaiono e gli scaffali a casa di Max si svuotano).



L'ufficio postale è il luogo che fa da cerniera tra i due mondi. Mary invia, dopo aver scelto casualmente da un elenco del telefono, una lettera a Max, chiedendo di farsi spiegare come nascono i bambini. La sua colorata curiosità irrompe nel chiaro-scuro mondo di Max che si lascia travolgere da un improvviso impeto vitale; la sua risposta scritta alla macchina da scrivere (di contro alle lettere scritte a mano da Mary, la ragione e la vena poetica a confronto) nella sua musicale ritmicità ci riconduce all'analoga scena che vedeva protagonista Jerry Lewis in Dove vai sono guai.


La lettera di Max è il tramite attraverso cui entriamo nel suo mondo; nato in un kibbutz, Max non comprende il linguaggio verbale, odia i rumori, ha un amico immaginario che si chiama mr. Ravioli (strana commistione tra un cercatore d'oro e un intellettuale silenzioso quanto il Max che l'ha creato), è ateo e legge Asimov, tanto che fa parte di un circolo di fan della fantascienza. I suoi vicini non sono certo più espansivi di quelli di Mary: uno è omofobo, l'altra è praticamente cieca. Alla freak, disadattata australiana (la sua stessa figura pallida e corvina non può non ricondurci ai tipici personaggi del cinema di Tim Burton, fra l'altro maestro nell'uso della plastilina) fa eco il nerd, autistico americano. Il pon pon rosso che Mary invia è un nuovo getto di colore nel mondo di Max, un colore che anticipa il tema della passione che la lettera successiva affronta e che manda in crisi il povero Max.
Le domande sull'amore, sull'amicizia e sui ricordi, che Mary sollecita, conducono l'uomo ad un attacco di panico perchè toccano confini della sua mente che travalicano la stretta osservanza razionale della sua vita. Dai ricordi di Max emerge la sua breve comparsata nella Storia, quella con la S maiuscola, con la partecipazione alla battaglia di Guadalcanal che resta come foto sbiadita. I due personaggi sono entrambi fuori dalla Storia, la loro solitudine sembra condannarli all'emarginazione e alla esclusione dal flusso vitale. La scritta che compare alle spalle di Max, ricoverato in una clinca psichiatrica a seguito del suo attacco di panico, è in questo senso emblematica: Niente per bocca (una sorta di epitaffio che scolpisce su carta il carattere del protagonista maschile che mai vedremo parlare).


La vincita alla lotteria apre la seconda parte del film nella quale i due personaggi sembrano uscire dalla loro inerzia. Il denaro permette a Max di realizzare due dei suoi tre sogni nel cassetto (una fornitura di cioccolato e la collezione completa dei Noblets), Mary icnontrerà un uomo che diverrà presto suo marito.
Nel frattempo però il film si carica di significati e di richiami. Veniamo a scoprire che Max è affetto dalla cosiddetta sindrome di Asperger (uno dei sintomi è dato dal suo prendere alla lettera quanto gli viene comunicato), mentre la madre di Mary muore distrutta dall'alcool (la sequenza della sua morte si svolge in atmosfere hitchcockiane con tanto di uccelli impagliati e ombre minacciose alla Psycho).



Mary, ormai affrancatasi dalle grinfie materne, se ne va all'università dove conosce il suo futuro marito che si presenta con una equivoca maglietta dedicata a Boy George che, sottilmente, preluderà alla sua futura scoperta omosessualità. Mary legge Oliver Sacks ("L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello"), il padre della romantic science, ovvero di una scienza a misura d'uomo che studia le patologie neurologiche incurabili, a cui certamente il film si ispira. Ma non è questo il primo riferimento letterario. Poco prima, descrivendo la morte della vicina di casa di Max, Ivy, passiamo, con un rapido movimento di macchina e una cut di montaggio, dal dettaglio della tomba della donna alla targa di una clinica privata a cui la stessa aveva donato parte dell'eredità. Nella tomba vicina a quella di Ivy è sepolto un certo Adam Elliot (quello delle lapidi è un motivo ricorrente nel film; pensiamo al geniale epitaffio sulla tomba della madre: Always merry killed by sherry), mentre la clinica è intitolata a Thomas S. Eliot. Il primo è il regista stesso che simpaticamente si deidica una lapide; il secondo è il grande scrittore cui certo il film qualche ispirazione la deve. L'autore di Terra desolata, infatti, ci richiama da una parte agli eventi della sua vita, vicini a quelli di Max, nei quali vide ricoverare in manicomio la moglie, dall'altra offre, letterariamente, un modello affine a quello utilizzato da Elliot nel suo stile cinematografico, ovverosia il procedimento del correlativo oggettivo che si esplica nel correlare le emozioni agli oggetti. Il film in questo senso (pensiamo soltanto alla carrellata iniziale di oggetti) offre diversi esempi di una poetica degli oggetti correlati alle emozioni dei personaggi (il padre di Mary, morto in uno tsunami, che si ritrova rappresentato nell'oggetto sepolto; la lettera M inviata come segno di rottura del legame epistolare...).



Mary ha, nel frattempo, ritrovato la parola. La perdita della macchia sul viso è una iniezione di autostima che si traduce in una rinnovata voglia di comunicare che però viene ben presto soffocata dalle vicende della "realtà": Max che interrompe la relazione epistolare quando lei gli comunica che sta occupandosi scientificamente della sua malattia, il marito che la lascia svelando finalmente la propria omosessualità. Mary discende pericolosamente in una china autodistruttiva (letteralmente svegliata dal canto di un gallo nella scoperta del marito, come già un gallo aveva salvato una delle lettere di Max che la madre di Mary voleva occultare) dalla quale si salva miracolosamente preservando, inconsapevolmente, la vita che porta dentro il grembo. 
Il finale vede l'eroina saltare il grande fossato che la divideva dall'unico amico che era riuscita a trovare, ma il suo arrivo a New York è tardivo perchè Max ha ormai lasciato questo mondo. Sulle note de il Coro a bocca chiusa della Butterfly di Puccini Mary scopre la realtà di Max che guarda verso il cielo lastricato, non di stelle, ma del loro equivalente, ovvero delle lettere che i due solitari amici si sono scambiati nel corso del tempo. "Non possiamo scegliere i nostri difetti ma i nostri amici" ci riporta alla didascalia finale: "Dio ci ha dato i parenti, grazie a Dio possiamo scegliere gli amici" che offre una sorta di morale universale alla favola appena narrata.



Mary che voleva curare le malattie e "pulire il mondo con una crema", Max che voleva pulire il mondo dalla spazzatura sono le due facce di una stessa medaglia; sono due personaggi idealisti, ognuno a proprio modo, incapaci di capire e vivere il mondo (si pensi alla fatica con cui entrambi accettano il proprio corpo, quasi fosse un nemico da combattere nella bruttezza di Mary e nell'obesità di Max) e, proprio per questo, proiettati nella utopica illusione di poterlo cambiare. Falliti questi obiettivi si trovano a scoprire un tesoro inaspettato che si rivela nell'amicizia, forse solo consolante, certo unico appiglio al male di vivere. Come direbbe Cartesio con la sua Morale Provvisoria: E' più facile cambiare le proprie idee che il mondo circostante.


Mary e Max che senza dirsi una parola si ritrovano e guardano verso la stessa direzione non può non ricordare il finale di Una storia vera (A straight story), di David Lynch, nel quale i due fratelli ricongiunti si siedono vicini e silenziosamente guardano verso le stelle e la mdp si muove verso il cielo notturno.


Max si è rivelato un vero e proprio alieno, l'uomo nudo sulla Luna (nudità che richiama anche alla purezza e, se vogliamo, all'orgoglio Aspies, dei malati della sindrome di Asperger, che non sentono il bisogno della veste dell'ipocrita accettazione sociale) che è caduto dal cielo e che al cielo vuole tornare (quello sguardo finale verso l'alto); la sua passione per la fantascienza, le sue movenze da robot allorchè lavora come netturbino, la sua incapacità di comprendere il vero senso del linguaggio umano ne fanno un novello E.T. che aspira al ritorno a casa (le stelle che Max guarda a più riprese).


Vi è anche una possibile lettura filosofica: Mary incarna una volontà attiva, ostacolata nelle sue aspirazioni da un corpo che non accetta (l'ossessione reiterata per la chirurgia plastica) e mette in moto una volontà passiva, quella di Max, che è prigioniera di una mente chiusa come una fortezza inespugnabile.
Un'ultima notazione; parecchie sono le citazioni hitchcockiane disseminate lungo tutto il film: dalla canzone Que serà serà che accompagna la sequenza del tentato suicidio di Mary che giunge da L'uomo che sapeva troppo (fra l'altro, nel film in questione, Doris Day cantava la canzone per ritrovare il figlio perduto, qui la musica accompagna un altro salvataggio di un bambino, nascituro, che sta per perdersi con la madre), all'incipit della mdp che a volo di uccello si avvicina alla finestra della protagonista che cita l'analogo incipit di Psyco, citato anche nella morte della madre e nel richiamo al nome del detective Arbogast che troviamo riecheggiato in quello della maestra di Mary, la signora Pendergast, non dimenticando l'assalto dell'uccello a Max che ci rimanda al capolavoro Gli uccelli.
Per chi avesse amato questo film indichiamo un'altra opera di Elliot, il corto Harvie Krumpet, vincitore dell'Oscar 2004 come miglior corto d'animazione e in cui ritroviamo in nuce i temi e i motivi che il regista ripropone più compiutamente in Mary and Max.

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